Il Presidente del Tribunale di Taranto incontra la Camera Civile Avvocati Taranto

Il Presidente del Tribunale di Taranto incontra la Camera Civile Avvocati Taranto

Illustre Presidente, come già segnalato all’Ordine, martedì 26 ottobre u.s. i rappresentanti del Direttivo della Camera Civile, in persona del Segretario avv. Stefania Cantoro del Tesoriere avv. Angelo Sebastio e del sottoscritto, avv. Francesco De Palma, quale Presidente, hanno avuto la opportunità di essere ricevuti dal Presidente del Tribunale, Signora Rosa Anna Depalo.
L’incontro, connotato da reciproca cordialità, ha preliminarmente costituito l’occasione per ribadire alla Signora Presidente sia le congratulazioni per il prestigioso incarico a lei conferito, che il benvenuto per il suo successivo insediamento presso la sede di questo Ufficio Giudiziario.
Da parte del Direttivo della Camera Civile si è quindi ritenuto di prospettare le problematiche che continuano ad affliggere l’ Avvocatura tarantina e le comprensibili aspettative di risoluzione delle stesse.
In particolare:
E’ stata segnalata, in primo luogo, la problematica inerente all’accesso degli Avvocati al Tribunale, ed alle altre sedi degli uffici giudiziari, con richiesta di disporre che tale accesso non sia più soggetto a specifiche giustificazioni e/o verifiche di alcun genere, e che sia sufficiente la sola dimostrazione (mediante esibizione della tessera di riconoscimento rilasciata dall’Ordine) della iscrizione all’ Albo Professionale;
– E’ stata altresì auspicata la costante ed ampia possibilità di accesso, da parte degli Avvocati, a tutte le cancellerie, con facoltà di relazionarsi “in presenza” con il personale giudiziario e, soprattutto, è stata evidenziata la necessità di immediato accesso, pur in mancanza di preventiva prenotazione, in caso di comprovata urgenza;
– E’ stata rappresentata la esigenza di assicurare la regolare ripresa della trattazione delle cause e dei procedimenti (sia per quel che riguarda il Tribunale che per quel che riguarda il Giudice di Pace) senza ulteriori parziali (ma numericamente consistenti) differimenti di ufficio (che, soprattutto per quel che riguarda le cause innanzi all’Ufficio del Giudice di Pace e per quel che riguarda i procedimenti presso terzi, vengono troppo frequentemente disposti);
E’ stata segnalata, inoltre, la esigenza di procedere, da parte della Presidenza, ad una rigorosa ed approfondita individuazione, con conseguente risoluzione del problema, delle cause e dei motivi che determinano i purtroppo ricorrenti disservizi (ad esempio: ritardi nella apertura dei depositi telematici degli atti processuali oggetto di deposito) e le irregolarità e/o omissioni delle comunicazioni di cancelleria (che sono causa di successivi inevitabili rinvii delle cause e dei procedimenti per evitare nullità processuali).
Per completezza si è quindi ritenuto doveroso far espressamente presente alla Signora Presidente che la quasi totalità delle norme attualmente in vigore appaiono eccessivamente limitative e che, se si tiene conto del fatto che in tutti gli altri settori della vita sociale e del mondo del lavoro (ed anche dello spettacolo e degli eventi sportivi) le limitazioni a carico dei cittadini e dei lavoratori sono state pressochè del tutto soppresse, ovvero estremamente contenute, non è dato comprendere perché, per quel che riguarda la sede giudiziaria del Tribunale e del Giudice di Pace di Taranto, debba protrarsi una situazione che non ha più ragion di essere e che costituisce una ingiustificata penalizzazione per l’Avvocatura.
In proposito si è fatto richiamo alle situazioni generali dei Tribunali di Brindisi e Lecce, laddove le criticità vengono avvertite in maniera estremamente più attenuata.
Tali considerazioni, per quanto contenute a titolo esemplificativo nelle suddette criticità, sono state oggetto di attenzione da parte della Signora Presidente che, in proposito, ha però fatto presente che la persistenza dello stato di emergenza e la carenza di personale giudiziario che caratterizza l’organico del Tribunale di Taranto rendono, a suo avviso, inevitabile il sostanziale protrarsi delle norme e regole che disciplinano in loco le attività giudiziarie.
 In sintesi, l’esito dell’incontro con la Signora Presidente, cui si è comunque grati per aver dato l’opportunità alla Camera Civile di manifestare le proprie considerazioni in merito alle problematiche che affliggono la realtà giudiziaria tarantina, induce a ritenere che, ancora dell’Avvocatura jonica resteranno, almeno sino a quando non cesserà lo stato di emergenza, insoddisfatte una volta, le esigenze
La presente viene doverosamente inoltrata al Consiglio dell’Ordine e posta all’attenzione del suo Presidente essendo certi che le problematiche sopra sinteticamente delineate sono ben note alle Istituzioni Forensi e con la aspettativa che queste valutino, per quanto di loro competenza, le opportune iniziative volte a vedere assicurare alla Avvocatura quanto meno un miglioramento delle condizioni generali di espletamento della propria attività.
Il Presidente
Avv. Francesco DE PALMA
UNCC – PNRR e riforma del processo civile

UNCC – PNRR e riforma del processo civile

In data odierna l’Unione Nazionale delle Camere Civili è stata invitata insieme all’Unione delle Camere Penali dal Commissario Europeo per la Giustizia.
 
I temi della discussione, oltre PNRR e riforma del processo civile sono stati l’indipendenza e qualità dei giudici e digitalizzazione.
UNCC ha evidenziato come l’unico modo per restituire alla giustizia efficienza è aumentare il numero dei giudici, avere una magistratura indipendente, e riportare in Tribunale i Giudici con incarichi esterni.
 
UNCC ha ribadito che il progetto di riforma ridurrà la equità senza aumentare la efficienza
La responsabilità civile per danni cagionati da cose in custodia

La responsabilità civile per danni cagionati da cose in custodia

Il caso

Una signora (C.M.P.) adiva il Tribunale di Roma al fine di ottenere la condanna al risarcimento dei danni cagionati da una chiazza di sapone colata sul pavimento di un supermercato, che le causò una rovinosa caduta da cui riportò la rottura di un femore, convenendo in giudizio il titolare del grande magazzino interessato (S. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. G.D.). La pretesa vantata veniva rigettata con sentenza del 17 giugno 2002; la soccombente, dunque, impugnava suddetta pronuncia dinanzi alla Corte d’Appello di Roma. Vedutasi, tuttavia, respingere il gravame in data 1° aprile 2005, C.M.P. proponeva ricorso per cassazione; resisteva con controricorso S. s.r.l.

I motivi di ricorso

In esito ad un’attenta lettura della sentenza in commento, è possibile individuare tre distinte censure che la C.M.P. ha mosso al provvedimento giurisdizionale oggetto di ricorso. In particolare:

  • Con il primo motivo, l’impugnante ha dedotto l’insufficienza della motivazione resa dai giudici della Corte territoriale rispetto al motivo di appello volto a far valere la responsabilità della controparte ex 2043 c.c. (Risarcimento per fatto illecito), desumibile – secondo la ricorrente stessa – in ragione della mancata adozione di cautele che segnalassero la presenza di un pericolo sul pavimento del supermercato (ossia, la chiazza di sapone), idonea a connotare in termini di colpa la condotta del titolare del grande magazzino.
  • Con il secondo motivo, l’impugnante ha denunciato la violazione dell’ 2051 c.c. (Danno cagionato da cosa in custodia), poiché la Corte d’Appello ha assolto il titolare del supermercato sull’assunto che la parte attrice avesse l’onere di provare – oltre al nesso di causalità tra la res in custodia ed il danno subito – anche la concreta sussistenza di una “insidia-trabocchetto”, il che, secondo la ricorrente medesima, non sarebbe giuridicamente necessario, tanto più avendo riguardo al fatto che la diligenza ordinariamente richiesta alla clientela di un grande magazzino consisterebbe in quella media di cui ex art. 1176 c.c. (Diligenza nell’adempimento).
  • Con l’ultimo motivo, l’impugnante ha lamentato l’insufficiente motivazione resa dai giudici della Corte territoriale rispetto al motivo di appello volto a far valere la responsabilità della controparte ex art 2049 c.c. (Responsabilità dei padroni e dei committenti), dal momento che – secondo la ricorrente stessa e contrariamente a quanto espresso dai giudici del gravame – la presenza del sapone sul pavimento del supermercato non esimerebbe il titolare di quest’ultimo dal rispondere per carenze nella manutenzione della struttura, nonostante la macchia liquida si fosse da poco originata.

Preso atto di tali doglianze, la Suprema Corte ha circoscritto il proprio esame alle critiche ascrivibili al secondo motivo di ricorso, le quali presenterebbero un “rilievo potenzialmente assorbente” degli altri profili di censura, data la condivisibile sussunzione della fattispecie de qua entro l’ambito di applicazione dell’art. 2051 c.c.

Al fine di comprendere la portata della decisione del Giudice di Legittimità che di seguito si andrà a declinare – nonché dei connessi principi di diritto dallo stesso enunciati nell’espletamento della propria funzione nomofilattica – pare preliminarmente necessario fornire un sintetico inquadramento dell’art. 2051 c.c., il quale disciplina un regime speciale di responsabilità civile per fatto proprio, consistente nella responsabilità derivante da danni cagionati da cose in custodia. Nello specifico, la disposizione in esame (composta da un unico comma) prescrive che: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.  Dal tenore letterale di tale norma, dunque, è possibile dedurre che gli elementi costitutivi della fattispecie giuridica in considerazione siano cinque, ossia:

  • La cosa danneggiante[1], che può consistere in un qualunque bene (mobile o immobile, animato o inanimato, pericoloso o meno[2]);
  • Il danno derivante dalla cosa;
  • Il nesso di causalità tra detta cosa e danno verificatosi, il quale deve necessariamente essere diretto[3];
  • Il custode, ossia colui che abbia un potere di governo e di intervento sulla cosa[4], al quale risulta ex legeimputabile il danno cagionato dalla stessa;
  • La prova liberatoria, data dal caso fortuito, che consente al custode di andare esente da responsabilità[5].

Inoltre, trattandosi di un’ipotesi di responsabilità oggettiva[6], non è necessario che si accerti l’esistenza di alcun elemento soggettivo (dolo, colpa) in capo al custode, sicché questi sarà comunque chiamato a rispondere di tutte le cause di danno provocate dalla res – salvo il caso fortuito – ancorché a lui stesso ignote (c.d. rischio da custodia)[7].

Infine, quanto alla ripartizione dell’onere probatorio tra le parti in contesa, pare essenziale precisare che, conformemente ai principi generali in materia di responsabilità aquiliana[8], spetta al danneggiato dimostrare – inter alia[9] – la sussistenza della relazione causale tra cosa in custodia e danno cagionato. Viceversa, invece, si pone a carico del custode la deduzione in giudizio del caso fortuito, il quale – consistendo in un evento naturale o umano (fatto del terzo o del danneggiato) idoneo ad interrompere il nesso causale tra res e danno[10] – esime il custode stesso da responsabilità. Tale elemento liberatorio, dunque, deve essere valutato in considerazione delle circostanze di ciascun singolo caso concreto.

Il creditore chirografario

Il creditore chirografario

Che cosa significa “creditore chirografario”? Quali sono le differenze fra crediti chirografari e crediti privilegiati? Come si recupera un credito chirografario?

La presente trattazione intende rispondere in modo completo ai predetti interrogativi.

1. Chi è il creditore chirografario?

I creditori cosiddetti “chirografari” sono i creditori che non sono assistiti da cause di prelazione ed in quanto tali, concorrono tra di loro in condizione di eguaglianza (seppur con alcune precisazioni di cui si dirà di seguito).

 Nel dettaglio, la causa di prelazione, può definirsi come una deroga al principio della pari condizione dei creditori (par condicio creditorum) in forza della quale un creditore, c.d. “privilegiato”, viene preferito rispetto ad altri creditori (c.d. chirografari) nel soddisfacimento sui beni del debitore, come ad esempio, avviene nel riparto delle somme che si ricavano in sede di esecuzione forzata.

Sul punto, occorre partire da quanto previsto dall’ art. 2740 c.c. che esprime un principio di portata generica e, secondo il quale, il creditore ha uno specifico diritto sul patrimonio del debitore perché se il debitore non adempie alla propria obbligazione in modo spontaneo, il creditore, può farlo espropriare in via forzosa e quindi, anche contro la volontà del debitore. Infatti, l’ordinamento processuale del nostro paese, non si limita ad attribuire alla parte che ritiene di aver subito un torto (nel caso che qui interessa, il torto, è il mancato pagamento di un debito) il diritto ad ottenere un accertamento giudiziale, dal momento che il vero presidio di tutela del diritto di credito è rappresentato dal principio per il quale il diritto alla garanzia patrimoniale può essere azionato e soddisfatto anche contro la volontà del debitore.

In poche parole, si tratta dell’attuazione della garanzia patrimoniale come prevista dall’ art. 2910 del codice civile il quale esattamente, al primo comma, prevede che: “il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può fare espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile”.

 Ciò vuol dire che chiunque venga riconosciuto come il creditore di un importo di danaro può far espropriare i beni del debitore perché i beni- e più in generale il suo patrimonio- del debitore sono la garanzia del soddisfacimento della ragione di credito.

 Del resto, nella lettura delle disposizioni codicistiche ausiliarie della tutela della garanzia patrimoniale è previsto:

  • all’ art 2905 c.c. il sequestro conservativo volto ad evitare la dispersione del patrimonio del debitore;
  • all’ art. 2900 c.c., volto ad evitare che il debitore, rimanendo inerte, pregiudichi il diritto del creditore anche sul patrimonio futuro;
  • all’ art. 2901 c.c., dall’azione revocatoria ordinaria che serve a reprimere le condotte del debitore che abbiano portato una diminuzione della garanzia patrimoniale.

L’ordinamento, quindi, pone a disposizione di tutti i creditori la possibilità di reagire all’inadempimento del comune debitore.

Può pertanto accadere che più creditori, vantino delle pretese nei confronti dello stesso debitore.

In un panorama giuridico del genere, soccorre la disposizione dell’art 2741 del codice civile che prevede, le c.d. “cause di prelazione” e secondo il quale i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del creditore salvo le cause legittime di prelazione che sono il privilegio (art. 2745 del c.c.), il pegno (art. 2784 del c.c.) e l’ipoteca (art. 2808 del c.c.).

Il creditore privilegiato non concorre con i chirografari, ma ha il diritto di far valere il suo credito sul bene oggetto di prelazione per l’intero.

Doveroso rammentare sul punto che i titoli di prelazione hanno delle caratteristiche comuni fra cui:

il diritto di sequela che si verifica quando il titolare di una causa di prelazione su un bene determinato può aggredirlo anche se il bene è passato in mano a terzi soggetti;

la surrogazione reale del creditore nelle ragioni che spettano al debitore sul beneche ad esempio si verifica sull’indennità dovuta dall’assicuratore per il perimento o deterioramento della cosa soggetta a privilegio, pegno ed ipoteca ex art. 1882 del c.c.;

la perdita del beneficio del termine eventualmente previsto a favore del debitore che si verifica nel caso cosa data in garanzia perisce o si deteriora in modo da risultare insufficiente a garantire il credito, in una situazione di questo tipo, il creditore privilegiato può chiedere idonea garanzia su altri beni oppure, in via subordinata, il pagamento immediato di quanto dovuto;

il pignoramento dei beni del debitore secondo quanto previsto dall’ articolo 2911 c.c. che avviene quando il creditore garantito da pegno, ipoteca e privilegio non può procedere su altri beni se prima non sottopone ad esecuzione il bene oggetto della garanzia

Quanto all’ intervento nel processo esecutivo dei creditori muniti di cause di prelazione, la normativa in materia (artt. 528, 2° comma cpc, art 551 cpc e 566 cpc.). prevede che questo tipo di creditori, non hanno una scansione temporale ben precisa purchè intervengano prima della formazione del progetto di distribuzione e possono intervenire anche dopo l’udienza di autorizzazione alla vendita, senza subire conseguenze negative.

Ci sono però anche dei limiti all’ efficacia delle cause di prelazione come disciplinato nel codice civile all’ all’articolo 2916 c.c. il quale prevede che nella distribuzione della somma ricavata dall’esecuzione non si tiene conto:

1) delle ipoteche, anche se giudiziali, iscritte dopo il pignoramento;

2) dei privilegi per la cui efficacia è necessaria l’iscrizione, se questa ha luogo dopo il pignoramento;

3) dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento.

Pertanto, in ragione di detta previsione codicistica, eventuali cause di prelazione che sono state costituite dopo il pignoramento sono inefficaci nell’esecuzione.

In relazione ai creditori muniti di privilegio, in forza di questa disposizione, se il loro credito è sorto dopo il pignoramento, essi potranno intervenire nell’espropriazione, ma saranno trattati in sede di distribuzione del ricavato come se fossero creditori chirografari, cosicché in sede di distribuzione del ricavato può essere necessario accertare la data ( e che sia certa secondo la normativa in materia) nella quale è sorto il credito ed il creditore privilegiato; infatti, se sorgono delle contestazioni, sarà necessario fornire la prova che il suo credito è nato prima del pignoramento.

Degno di nota è anche il fatto che l’articolo 2916 c.c. non fa alcun riferimento al pegno, ma, per prassi, si può ritenere che anche i pegni devono essere stati costituiti prima del pignoramento per essere opponibili ai creditori concorrenti.

2. La normativa di riferimento

La responsabilità patrimoniale, le cause di prelazione e la conservazione della garanzia patrimoniale, cui naturalmente consegue la gradazione dei crediti in sede di distribuzione del ricavato trovano la sua disciplina nel codice Civile, Libro VI, Titolo III articoli 2741 e 2748 .Lo svolgimento del processo e dunque il modus operandi quanto alla distribuzione della somma ricavata, si trova invece nel codice di procedura civile, nel Libro III – del Processo di Esecuzione, all’ articolo 510 ed all’ articolo 596.

L’articolo 2741 comma 1 del codice civile stabilisce che le cause legittime di prelazione sono, i privilegi, il pegno e l’ipoteca.

Il creditore munito di una prelazione ha diritto di essere preferito in sede di distribuzione del ricavato.

Per i creditori muniti di cause di prelazione, non esiste una differenza tra intervento tempestivo e tardivo, questi creditori possono intervenire anche dopo l’udienza di autorizzazione alla vendita, senza subire conseguenze negative (ex artt. 528, comma 2, 551 e 566 c.p.c.).

Per tutelare i propri diritti, questi creditori devono intervenire entro il termine ultimo fissato dal legislatore o individuato dalla giurisprudenza per le singole forme di espropriazione.

L’art. 2748 invece prevede e risolve i conflitti fra i privilegi speciali ed i diritti di garanzia reale: pegno ed ipoteca.

L’articolo 510 del codice di procedura civile regola la distribuzione delle somme ricavate nell’espropriazione forzata secondo due ipotesi diverse:

  • Nel caso in cui c’è un unico creditore (primo comma)
  • Nel caso in cui ci sia una pluralità di creditori (secondo comma ed ovviamente, è l’ipotesi più complessa) rammentando che l’espropriazione forzata comporta, infatti, il concorso dei creditori, che si realizza mediante l’intervento nel processo esecutivo.

Infatti, nella non infrequente ipotesi in cui il patrimonio del debitore viene aggredito da uno dei creditori, per gli altri la partecipazione al concorso è necessaria, perché il creditore inerte perde definitivamente quella parte di garanzia che il bene, oggetto dell’esecuzione, prestava al suo credito.

Laddove il ricavato dalla vendita non sia sufficiente per l’adempimento delle obbligazioni del debitore, in sede di distribuzione alcuni creditori concorrenti non saranno soddisfatti, interamente o in parte, dovranno assistere alla soddisfazione degli altri creditori e vedranno svanire la garanzia dei loro crediti.

L’articolo 2741 del codice civile declama un “eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione”.

Il legislatore però, sa bene che nella realtà del processo esecutivo il concorso paritario tra i creditori è regola che patisce diverse eccezioni, stante la diffusione delle cause di preferenza, ed il codice di procedura civile non fa nessun cenno all’uguaglianza tra i creditori, mentre, in diverse disposizioni, richiama le cause di prelazione.

In forza dell’articolo 510 comma 2 del codice di procedura civile, la somma ricavata dall’espropriazione è distribuita in relazione alle cause di prelazione.

L’articolo 596 del codice di procedura civile, in materia di espropriazione mobiliare, stabilisce che il giudice o, nel caso di delega, il professionista delegato alla vendita, “non più tardi di trenta giorni dal versamento del prezzo, provvede a formare un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, e lo deposita in cancelleria affinché possa essere consultato dai creditori e dal debitore, fissando l’udienza per la loro audizione”.

Il richiamo alle “cause di prelazione” e alla “graduazione” conferma che i creditori, nella concreta dinamica dell’espropriazione, subiscono trattamenti differenziati.

I creditori che non sono assistiti da cause di prelazione sono definiti «chirografari» e concorrono tra di loro in condizione di eguaglianza ma con alcune precisazioni.

Infatti, se un creditore chirografario interviene tardivamente nell’espropriazione egli subisce la cd. postergazione, ovvero viene soddisfatto dopo tutti gli altri creditori.

Il discrimine tra azioni tempestive e tardive è segnato dall’inizio dell’udienza nella quale il giudice dell’esecuzione autorizza la vendita dei beni pignorati.

Nell’espropriazione presso terzi, il creditore chirografario, subisce la postergazione se prende posizione dopo l’udienza nella quale il terzo rende la dichiarazione.

Nell’espropriazione mobiliare, dove il valore dei beni pignorati sia inferiore ad i ventimila euro il giudice dell’esecuzione fissa la vendita con decreto e la postergazione per i chirografari è determinata dal semplice deposito dell’istanza di vendita (ex art. 525, comma 2, c.p.c.).

Inoltre, l’uguaglianza tra i creditori chirografari cessa anche se il creditore procedente indica ai chirografari tempestivi l’esistenza di altri beni utilmente pignorabili, invitandoli ad estendere il pignoramento (nel caso in cui essi abbiano un titolo esecutivo) o devono anticipare le relative spese (nel caso in cui essi non abbiano un titolo esecutivo).

 In punto di credito chirografario, alla normativa civilistica e processualcivilistica si aggiunge la disciplina delle procedure concorsuali con specifico riferimento alla normativa fallimentare, R.D. 16 marzo 1942 n. 267, art 111 che classifica i diversi tipi di creditori e l’ordine di ripartizione.

Dettagliatamente, dopo che è stato accertato l’attivo fallimentare sarà necessario procedere alla sua ripartizione tra i creditori secondo tre categorie esatte di crediti che si distinguono in:

1. i crediti prededucibili;

2. i crediti garantiti in quanto assistiti da prelazione;

3. i crediti non garantiti, cioè chirografari.

Ciò vuol dire che le somme ricavate dalla liquidazione devono essere corrisposte nell’ ordine che segue:

1) per il pagamento dei crediti prededucibili (come previsto dal successivo art. 111 bis L.F.);

2) per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l’ordine assegnato dalla legge (come previsto dall’ art. 111 quater L.F.);

3) per il pagamento dei creditori chirografari, in proporzione dell’ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso, compresi i creditori privilegiati, qualora non sia stata ancora realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui rimasero non soddisfatti da questa.

Dalla predetta disposizione si ricava agevolmente che i creditori che avranno meno possibilità di essere soddisfatti sono i creditori chirografari (perché quando si arriva a tale grado ci sono meno soldi da distribuire) che infatti verranno ammessi in proporzione dell’ammontare del loro credito.

Ciò precisato, secondo l’art 111 in sede fallimentare, i primi ad essere soddisfatti sono i crediti prededucibili.

Per questi crediti, il predetto articolo chiarisce che sono tali quelli così definiti dalla legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali, cioè tutte le procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare.

Più dettagliatamente l’art. 111 L.F fa dunque riferimento a tre ipotesi:

  • i crediti definiti prededucibili dalla legge, e quelli sorti occasione o in funzione delle procedure concorsuali;
  • i crediti sorti in funzione delle procedure concorsuali sono quelli sorti perché frutto di attività consapevole degli organi della procedura,
  • I crediti sorti in occasione della procedura si riferiscono ad ipotesi in cui non c’è stata una specifica volontà degli organi della procedura, come nel caso in cui sorgano dei crediti di carattere risarcitorio a carico del fallimento.

I crediti prededucibili non sono sottratti alla procedura di accertamento del passivo, perché anche questi, ai sensi dell’art. 111 bis, comma 1, ne sono assoggettati, cosicchè possono anche essere tempestivi e tardivi, con l’applicazione della relativa disciplina.

Fermo restando che è il medesimo art 111 bis l.f. a porre due eccezioni a questa regola stabilendo che non sono sottoposti alla normale procedura di ammissione al passivo:

1) i crediti che non sono contestati per collocazione ed ammontare, anche se sorti durante l’esercizio provvisorio;

2) i crediti sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi dei soggetti di cui il curatore abbia richiesto l’assistenza (art. 25 L.F. primo e sesto comma).

Dettagliatamente, per i crediti non contestati per collocazione ed ammontare, particolare importanza assumono quelli che sorgono durante il fallimento, in merito, però, alla loro liquidazione che, infatti, possono essere soddisfatti al di fuori del procedimento di riparto, ma solo se si presume che l’attivo sia sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti, fermo restando che per il pagamento è poi necessaria l’autorizzazione del comitato dei creditori o del giudice delegato

Invece, per i crediti sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi dei soggetti di cui il curatore abbia richiesto l’assistenza, è agevole ricavare che mancando la contestazione, sono senz’altro ammessi al passivo, ma se la contestazione vi è stata, l’ammissione al passivo potrà avvenire con il diverso procedimento del reclamo contro il decreto del giudice delegato che liquida il compenso a detti soggetti come previsto dall’ art. 26, stessa legge fallimentare, ed all’ esito del reclamo si accerteranno tali crediti e il loro diritto di essere ammessi o no al passivo.

Pertanto, l’erogazione delle somme sarà come segue:

1. ai crediti ipotecari e pignoratizi, in ordine alla liquidazione dei beni oggetto della garanzia;

2. ai crediti prededucibili;

3. agli altri creditori che hanno titolo di prelazione;

4. ai creditori chirografari.

3. Le interferenze tra legge fallimentare e disciplina codicistica

Per quanto dedotto nei precedenti paragrafi è agevole ricavare che la soddisfazione del diritto di credito vede fondersi le norme civilistiche e processualcivilistiche con quelle fallimentari.

Giusto tener presente la giurisprudenza che ha affrontato la materia, secondo indirizzi che possono ritenersi consolidati in cui si può prendere atto che sono applicabili gli artt. da 570 a 575 c.p.c. in tema di vendita senza incanto, nonché gli artt. 576, 580, comma 2, 585, comma 2 (Trib. Roma 9 giugno 1999, n. 301), 586 (Cass. 25 luglio 2002, n. 10909, in riferimento alle alle spese di cancellazione) e 587 (Cass. 6 settembre 2006, n. 19142) nel caso di vendita con incanto.

Nel dettaglio, in riferimento all’applicabilità dell’art. 586 c.p.c., la Corte di  Cassazione ha ammesso che, “ pur non rappresentando quello dettato dalla disposizione in ordine al riparto delle spese un principio inderogabile e non avendo esso ad oggetto situazioni soggettive indisponibili, il giudice delegato al fallimento ben può, con il proprio provvedimento, porre le spese di cancellazione delle trascrizioni o iscrizioni gravanti sull’immobile trasferito a carico dell’aggiudicatario” (Cass. 25 luglio 2002, n. 10909).

In riferimento invece, all’espropriazione di beni indivisi, l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario ha ritenuto applicabile sia l’art. 600 c.p.c. (Trib. Genova 17 aprile 1997, ivi, 1997, 1231), che l’art. 601 c.p.c. (Trib. Napoli 25 giugno 2002, in Giur. comm., 2004, II, 240).

Infine, sono state ritenute applicabili alle vendite fallimentari anche le disposizioni di cui agli artt. 532 e 533 c.p.c. che disciplinano la vendita a mezzo commissionario, ciò in forza del richiamo dell’art. 107 l. fall., primo comma, ai “soggetti specializzati” (sul punto, Trib. Roma 18 aprile 1998, in Giur. mer., 2000, 353).

Al contrario, la giurisprudenza, ha invece escluso nel fallimento l’applicabilità degli artt. 615 e 617 c.p.c., ritenendo che i provvedimenti adottati in sede fallimentare sono reclamabili ai sensi dell’art. 26 l.fall. (in tal senso anche Cass.civ 23 settembre 2002, n. 13825, ivi. 2003, 837). Ciò vuol dire, che in caso di previa non proposizione del reclamo ex art. 26 l.fall., non sarà ammissibile il ricorso per cassazione proposto direttamente avverso il decreto di trasferimento del bene immobile (in tal senso, Cass. Civile 22 gennaio 2009, n. 1610, in Mass. Giust. civ., 2009, 1, 98).

Contrastata invece è l’applicabilità del potere del giudice delegato di sospendere la vendita ex art. 586 c.p.c. Sul punto l’indirizzo prevalente della giurisprudenza (Cass. 23 febbraio 2010, n. 4344, in Mass. Giust. civ., 2010, 2, 261; Cass. 16 aprile 2007, n. 23799, in Mass. Giust. civ., 2007, 11) ha ritenuto inapplicabile la disposizione, in ragione dell’esistenza della disciplina speciale dettata dall’art. 108 l.fall., secondo cui il giudice può esercitare il suddetto potere, non solo quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, ma anche a fronte di gravi e giustificati motivi.

Il compromesso: la guida al preliminare di vendita immobiliare

Il compromesso: la guida al preliminare di vendita immobiliare

1. Che cos’è il “compromesso”?

In gergo comune, il termine “compromesso” è frequentemente (e impropriamente) utilizzato per indicare il contratto preliminare di vendita, nello specifico quello avente ad oggetto un bene immobile.

Si tratta quindi di un contratto a tutti gli effetti, con cui le parti, intenzionate a concludere una futura compravendita – e denominate rispettivamente promissarioacquirente (chi acquista) e promittente alienante (chi vende) – si obbligano a stipularla in un momento successivo.

Il preliminare di vendita (come del resto qualsiasi contratto preliminare) ha effetti obbligatori: determina infatti l’obbligo per i contraenti di prestare il consenso in occasione della futura vendita.

Gli effetti (reali e obbligatori) tipici di quest’ultima (trasferimento della proprietà, pagamento del prezzo, consegna del bene…) si producono invece solo con la stipula del contratto definitivo.

2. Cosa si fa al “compromesso”?

Al “compromesso” le parti sottoscrivono un vero e proprio contratto (il preliminare di vendita, appunto), in cui si obbligano a concludere il contratto di vendita definitivo in un momento successivo.

Nella prassi, il ricorso al preliminare di vendita è molto frequente perchè consente di soddisfare due distinte esigenze:

  • permette alle parti di vincolarsi reciprocamente per il futuro, garantendo cioè che nessuna di esse possa sottrarsi alla stipula del contratto definitivo, senza che sia necessario concluderlo immediatamente;
  • consente inoltre di sfruttare l’intervallo temporale intercorrente tra il preliminare e il definitivo, per mettere a punto tutta una serie di adempimenti prodromici e funzionali alla vendita (richiesta di un mutuo per l’acquisto dell’immobile, trasloco ecc…).

3. Che cosa deve contenere il “compromesso”?

La legge non prevede una disciplina specifica del contratto preliminare, limitandosi a prescrivere che debba avere la stessa forma del contratto definitivo, a pena di nullità (art. 1351 c.c.).

La disciplina del preliminare deve quindi desumersi da quella del contratto in generale e in particolar modo dalle norme dettate per la specifica tipologia di contratto definitivo cui il preliminare è strumentale (in questo caso quello di compravendita immobiliare).

Muovendo da queste premesse, gli elementi essenziali che il preliminare di venditaimmobiliare deve contenere sono:

  • il consenso delle parti,
  • la forma scritta,
  • l’esatta indicazione del bene immobile oggetto di vendita (indirizzo, tipologia, dati catastali…),
  • il prezzo.

Va da sé che, più il contenuto del preliminare è dettagliato ed esaustivo e minori saranno i dubbi che potranno sorgere in sede di stipula del contratto definitivo.

3.1. (segue): La forma del contratto preliminare di compravendita

Si è detto che il contratto preliminare deve avere la stessa forma del definitivo a pena di nullità.

Trattandosi di preliminare di vendita immobiliare, la norma di riferimento è l’art. 1350, primo comma n. 1 c.c., secondo cui i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili devono farsi per atto pubblico o scrittura privata, a pena di nullità.

Le parti possono quindi procedere autonomamente mediante scrittura privata, oppure rivolgersi ad un Notaio e concludere il “compromesso” per atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Tale ultima opzione è imprescindibile se il preliminare ha ad oggetto immobili da costruire o in corso di costruzione (D. Lgs. n. 122/2005, art. 6).

Come vedremo meglio oltre (paragrafo 5), pur non essendo obbligatoria, la stipula del “compromesso” in sede notarile garantisce maggiormente le parti, soprattutto il promissario acquirente.

3.2. Contratto preliminare e clausole accessorie

Le parti possono arricchire il contenuto minimo del contratto preliminare inserendovi delle clausole aggiuntive.

Si parla a tal proposito di clausole accessorie, nel senso che il contratto esiste in ogni caso anche se non vengono apposte, ma una volta incluse possono condizionarne validità ed efficacia.

Si tratta di clausole solitamente previste a tutela di una o entrambe le parti contraenti.

Le più frequenti sono:

  • il termine per la stipula del contratto definitivo: solitamente le parti indicano la data entro cui sottoscrivere il successivo contratto di compravendita, in modo da circoscrivere temporalmente il proprio impegno reciproco. Come vedremo meglio oltre (paragrafo 3.2.2.), di regola il termine previsto nel preliminare non è da considerarsi essenziale, salvo che dalle espressioni utilizzate, dall’oggetto e dalla natura del contratto, non emerga la volontà inequivocabile delle parti di qualificarlo in tal senso;
  • la caparra (art. 1385 c.c.): non è infrequente che il promittente venditore chieda al promissario acquirente il versamento di una somma di denaro per confermare la serietà dell’impegno assunto (c.d. caparra confirmatoria). Se tutto procede regolarmente la caparra viene restituita o imputata al pagamento del prezzo del contratto definitivo. Se invece una delle parti è inadempiente alle obbligazioni previste dal preliminare, l’altra partepotrà recedere dal contratto, trattenendo la caparra ricevuta o esigendo il doppio dell’importo versato.

La caparra può essere prevista anche a titolo di corrispettivo della facoltà di recessodal contratto (c.d. caparra penitenziale). In tal caso, una volta corrisposta, la parte potrà scegliere se adempiere le obbligazioni previste oppure recedere dal contratto: se opta per il recesso dovrà rinunciare alla caparra versata o restituire un importo doppio;

  • la clausola penale (art. 1382 c.c.): le parti possono anche prevedere che, in caso di inadempimento totale o parziale di una di esse, quella inadempiente sia tenuta a pagare una determinata somma di denaro (la c.d. “penale” appunto). In tal caso la penale è prevista a titolo di risarcimento del danno, mentre è esclusa la risarcibilità di danni ulteriori salvo espressa previsione. A differenza della caparra, la penale può essere prevista anche per il solo ritardo nell’adempimento della prestazione (ad esempio per ogni giorno di ritardo rispetto alla data fissata per la stipula del contratto definitivo).

3.2.1. Nel contratto preliminare dev’essere fissata anche la data del rogito?

Si è detto che il termine di stipula del definitivo non rappresenta un elemento essenziale del “compromesso”, anche se solitamente le parti lo prevedono in modo da circoscrivere temporalmente le reciproche obbligazioni.

Può comunque accadere che le parti scelgano di non farne menzione: in tal caso come orientarsi e soprattutto, quando è possibile richiedere la prestazione?

Richiamando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (Cass. n. 2700/1956, Cass. sez. 3 n. 19414/10, Cass. sez. 3 n. 15796/09), la Corte di Cassazione ha affermato che se nel preliminare non è indicato un termine per adempiere, la parte che vi ha interesse può esigere l’esecuzione immediata della prestazione (Cass. Sez. II Civile, sent. n. 21647/2019).

Si applica quindi il principio previsto all’art. 1183 primo comma c.c., secondo cui se non è fissato un termine per l’adempimento della prestazione il creditore può esigerla immediatamente.

Immediatezza, che tuttavia va declinata rispetto allo specifico rapporto in esame: spetterà infatti al Giudice, chiamato a dirimere la controversia sorta a seguito dell’inadempimento, apprezzare la congruità del tempo intercorso tra il preliminare e la richiesta avanzata, alla luce dei parametri di cui all’art. 1183 secondo comma c.c..

3.2.2. È possibile spostare la data del rogito?

Supponiamo invece che le parti, come spesso accade, abbiano fissato il termine entro il quale sottoscrivere il contratto definitivo dal Notaio e che per una serie di circostanze non sia possibile rispettarlo.

La data prevista per il rogito può essere spostata? È quindi ammesso un differimento, oppure il termine concordato dalle parti deve ritenersi perentorio?

Anche in tal caso giunge in soccorso la Cassazione; la Corte chiarisce infatti che, in tema di preliminare di compravendita, il termine stabilito per la stipula del contratto definitivo di regola non è da ritenersi essenziale (Cass. ord. n. 9226/2020), dunque inderogabile.

In particolare deve ritenersi che espressioni quali “entro e non oltre il…” o formule di tenore analogo non integrino la previsione di un termine essenziale.

Il termine potrà ritenersi tale solo quando, all’esito di un’indagine riservata al giudice di merito – da condurre peraltro alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e soprattutto della natura e dell’oggetto del contratto – risulti l’inequivocabile volontà delle parti di considerare ormai persa l’utilità economica dell’accordo, a causa dell’infruttuoso decorso del termine.

Un’ipotesi residuale quindi, la sola in cui il mancato rispetto del termine indicato nel preliminare può legittimare lo scioglimento del contratto.

Negli altri casi deve invece ritenersi che, in presenza di un impedimento oggettivoche precluda di rispettare la data del rogito, ciascuna parte possa chiedere una proroga, purché il differimentosia giustificabile e congruo, oltre cheinidoneo a pregiudicare l’utilità della prestazione.

4. La registrazione del preliminare

Una domanda tra le più frequenti è se il preliminare di vendita debba essere registrato o meno.

La risposta è affermativa, anche se è opportuno distinguere il profilo fiscale da quello strettamente civilistico.

A differenza di quanto accade con altre tipologie di contratti (ad esempio quello di locazione), il preliminare, purché corredato di tutti gli elementi essenziali, resta comunque valido ed efficace anche se non viene registrato, vincolando le parti alla stipula del definitivo.

La registrazione rappresenta infatti un adempimento prescritto a fini esclusivamente fiscali (D.P.R. 131/1986, Tariffa parte 1 articolo 10), la cui inosservanza espone le parti alle conseguenti sanzioni ma non preclude al contratto di spiegare i suoi effetti obbligatori.